(...prologo…)
Bodini recitava: "Tu non conosci il Sud, le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia d'un dado". Credo non esistano parole migliori per spiegare che la nostra terra non è un luogo fisico ma uno stato d’animo. Ciao sono Marika e non vedo il mare da 200 giorni. L’astinenza da Ionio è ciò che accuso maggiormente nei momenti di sconforto. Il mare è sempre stato un rifugio.
(... ciak 1…)
Hai sedici anni, un sacco di crisi adolescenziali e una voglia di mangiarti il mondo che sta mangiando te stessa, cerchi intorno a te degli stimoli e delle risposte che un paesino di diciottomila anime sembra non darti; quindi, prendi le vespa e corri verso il mare, percorri quella strada, sempre la stessa, con gli stessi identici muretti a secco, lo stesso identico vecchietto fermo all’angolo, l’erba secca che invade la carreggiata, gli ulivi, i fichi d’india, il sole, un sacco di sole. Ti divincoli tra i vicoli che conosci a memoria per arrivare lì, nel punto più alto e fissi il sole, sempre lo stesso, che scende lento sul mare fino a baciarlo.
Sospiri.
Questo è un rito che mi manca moltissimo ma è proprio verso i sedici anni che ho iniziato a comprendere che il Salento sarebbe stato troppo piccolo per me. Nonostante questa sensazione ho continuato a lottare per i miei ideali, coltivando le mie passioni, studiando e cercando di costruire qualcosa nella mia terra d’origine. L’impegno sociale, la musica, gli eventi, la cultura, gli amici, le relazioni. Sapevo che sarei andata via.
(...ciak 2…)
Ho vent’anni, vivo ancora in Salento e sono al primo anno di università, frequento un corso di laurea che chiunque avrebbe sconsigliato: troppo umanistico, troppo poco pratico, troppo inutile. Ho sempre badato poco al giudizio degli altri, un po’ per difesa e un po’ per educazione. Ero consapevole del periodo storico nel quale stavo vivendo e certa che – con molte probabilità – non avrei mai trovato un lavoro decisi di non violentare il mio cervello studiando qualcosa che non sentivo mio, che non mi piaceva. Studiavo le materie del mio corso con molto piacere e la mia vita lavorativa aveva già iniziato a prendere una forma, frequentavo un ambiente stimolante che mi metteva in contatto con personalità interessanti del nostro territorio: insomma, non potevo lamentarmi. Ma sapevo comunque che sarei andata via.
(...ciak 3…)
Ho ventuno anni e sto prendendo un aereo per la Spagna. Per la prima volta ho lasciato la mia terra d’origine, lasciando mia madre, il mio cane e tutto ciò che avevo costruito. Valencia mi piaceva, soprattutto perché era una città che affacciava sul mare. La mia casetta era al quinto piano in Calle Ciudad de Mula 20, alle spalle dello stadio Mestalla. Ricordo benissimo la sensazione che provai quando misi per la prima volta in naso fuori dalla metropolitana (che storia!): era una “mescla” di euforia, curiosità e sicurezza: Valencia era diventata casa mia. Essere uno studente Erasmus ti concede il privilegio di appartenere ad una grandissima famiglia, fatta di tante persone con culture diverse e questo – in un certo senso – ti permette di girare il mondo stando fermo al centro di una piazza, con le gambe incrociate e una birra fredda in mano. Dopo quell’anno ero diversa: avevo dimenticato l’italiano, mi sentivo molto più consapevole di me stessa e sapevo che tornando non avrei trovato nulla immutato. Sapevo anche che quella, che un tempo consideravo “la mia vita”, non lo era più perché non ero più quella io. Non potevo certo vivere nel rimpianto di Valencia o Barcellona, quindi mi buttai a capofitto nello studio e continuai a curare quei progetti che avevo lasciato aperti prima del trasferimento. Meticolosamente cercai di mettere ordine alla mia vita in Salento, preservando quello che sentivo fosse importante a prescindere dalla città nella quale mi trovassi. Sapevo sarei andata via ma non volevo lasciare il disordine lasciato prima di partire per la Spagna, improvvisamente e senza avvisare quasi nessuno. Questa volta era quella definitiva: andavo via per non tornare.
(...ciak 4…)
Ho ventiquattro anni e da due anni vivo a Roma. Con questa città ho avuto un imprinting immediato. Difficile non innamorarsene. Roma è molto simile, sotto certi aspetti, al Salento: i colori, il calore delle persone, il sapore. Roma è sud e, purtroppo, ha alcuni dei problemi tipici del meridione con i quali spesso lotto ma allo stesso tempo mi ha trasmesso una speranza che giù difficilmente trovavo. Ora sto per laurearmi, di nuovo, e sono riuscita a trasformare la mia passione in un lavoro: la musica, i festival, gli eventi. Questa città mi ha travolta, dandomi la possibilità di esprimermi ed è diventata inevitabilmente la mia casa perché non mi sono mai sentita una fuori sede, in tutti i sensi.
(...epilogo…)
Non rifiuto le mie origini perché fanno parte del mio vissuto e se oggi sono così affamata di vita e bellezza è anche grazie a quella vita di provincia che tanto ho odiato. Ho ancora mille luoghi e persone da scoprire e non so se tornerò mai a vivere nella mia terra d’origine ma so che devo ringraziarla.
Autore
Marika P. Lerario
Comments