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The Haunting of Hill House è una serie antologica statunitense, approdata nell’ottobre del 2018 su Netflix, che ha riscosso un notevole successo di pubblico e critica. Regista e showrunner della serie è Mike Flanagan, già noto ai più affezionati fan del genere horror, il quale neanche stavolta ha deluso le aspettative, incontrando anche l’approvazione di sua maestà Stephen King.
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Tratta dall’omonimo romanzo del ‘59 della maestra del gotich novel Shirley Jackson, The Haunting of Hill House si discosta notevolmente dalla trama dell’opera narrativa, presentandosi assai intricato e cupo, non solo dal punto di vista degli eventi ma anche dai conflitti psicologici interni che rendono questa produzione una vera e propria Perla di Labuan dell’horror drama.
Caratteristico e di forte impatto narrativo, è l’incipit del teaser nell’episodio pilota che ricalca fedelmente quello scritto dalla Jackson: “Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano,a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva di fronte alle sue colline, avvolta nella sua oscurità”. Con questa piccola ma accurata descrizione del maniero, Hill House ci accoglie nelle sue solide e possenti mura immergendoci in un’atmosfera di pura inquietudine che ci accompagna per tutta la durata dello show.
La peculiarità vincente della serie è proprio questa: creare un clima di ansia e terrore che perseguita anche il pubblico più devoto all’horror, concentrando l’attenzione sul senso di malessere che un prodotto del genere deve saper provocare. Rarissimi, infatti, sono gli jumpscare, assenti le scene di splatter.
Cosa rende, allora, The Haunting of Hill House così terrificante e angosciante? Ciò che non si vede. Flanagan, infatti, da aspirante maestro dell’horror qual è, ha giocato d’astuzia e ha posto oltre venti spettri impercettibili in giro per la casa.
Ora, la domanda sorge spontanea: chi avrebbe mai il coraggio di avvicinarsi e addentrarsi in questa gotica trappola mortale?
La famiglia Crain (composta da Hugh e Olivia, con i loro pargoletti Steven, Shirley, Theo, Luke e Nell) si trasferisce nell’estate del 1992 a Hill House per qualche mese, con l’intento di ristrutturarla per poi rivenderla. La casa accoglie i nuovi abitanti, a prima vista, con eleganza e stile vittoriano, ma ben presto mette in serio pericolo il loro stato psico-fisico. Altra singolarità della serie è proprio il trattamento e l’importanza riservato alla casa, tanto da renderla la vera protagonista della storia. Essa, infatti, è descritta come un essere umano in carne e ossa, come un corpo che ingerisce e digerisce, e questo non fa che aumentarne il potere. Ma non è tutto…
Il prodotto spicca per la sua vena drammatica che, di tanto in tanto, ci pone dinnanzi ai veri fantasmi della quotidianità che, a ben vedere, sono ben più terrificanti di spiriti e creature demoniache. I veri spettri sono i rimpianti, i rimorsi, i sensi di colpa che ognuno di noi cela dietro una maschera di perenne ilarità.
(… panoramica ...)
The Haunting of Hill House affronta con magistrale lucidità temi come tossicodipendenza, omosessualità e morte. I nostri protagonisti che, nel corso degli episodi conosciamo quasi come se fossero nostri familiari, vivono una vita scissa tra ciò che è stato e ciò che è, preferendo fuggire dai fantasmi del passato per rifugiarsi in un’apparente serenità del presente. Il cast si cala nella parte con maestria e permette alla serie quel salto di qualità che il suo creatore ha voluto realizzare.
La storia, muovendosi tra passato e presente, permette frequenti flaschback a forte funzione esplicativa; i repentini cambi di piano temporale permettono allo spettatore di immergersi e immedesimarsi sempre di più. Se da un lato, infatti, ci sentiremo adulti forti e coraggiosi, dall’altro spicca il bambino intimorito che dimora in ognuno di noi.
(… titoli di coda …)
Perché, dunque, varcare la soglia di Hill House anche e solo virtualmente?
Semplice: Mike Flanagan ha voluto realizzare una serie che richiamasse l’inquietudine dettata più da drammi emotivi e psicologici reali, piuttosto che da solite tecniche sfruttate dai registi del genere horror. Una tipica storia di spettri, fantasmi, desolazione, morte e urla non avrebbe creato tanto stupore, sarebbe stata l’ennesima costruzione di un’avventura maldestra terminata in tragedia. In The Hunting of Hill House, invece, non c’è spazio per la banalità e ognuno dei personaggi, dal protagonista al non, è costruito in maniera dettagliata dal punto di vista caratteriale e morale.
Siete davvero sicuri, quindi, di non aver paura delle conseguenze e di un soggiorno a Hill House?
Provateci.
Autore
Angelica Martina
Osservatorio Serie TV
Università del Salento
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